La mano tesa ad Obama
L’Iraq non può cadere nelle mani di al Qaeda

Il presidente statunitense Barak Obama non può lasciar cadere nel niente la proposta iraniana di una collaborazione politica militare volta a fermare l’offensiva quaedista scatenatasi nell’est dell’Iraq e che minaccia il governo legittimo di Baghdad. Anche se è chiaro che un nuovo intervento americano in Iraq renderebbe evidente alla comunità internazionale l’errore politico e strategico commesso dalla Casa Bianca con il prematuro ritiro delle truppe, lasciare solo l’Iran a fronteggiare la valanga armata qaedista, equivarrebbe ad un suicidio. Purtroppo è ovvio che sulle sole truppe irachene, quelle che gli americani avrebbero addestrato per lasciar loro il controllo del paese, non si può contare. Si sono già sbandate o passate ai ribelli. L’Iraq piomberebbe in mano ad al Qaeda, che tra l’altro raccoglie i suoi aderenti da una minoranza nel paese, che pure è la più bellicosa. Obama ha ucciso Bin Laden, ma al Qaeda sta combattendo con successo contro Assad in Siria, continua a combattere in Afghanistan con i taleban e così in Yemen, in Somalia, in Libia e persino in Kenia con gli Shebab che sono tornati all’offensiva proprio in queste ore. Di tutte queste aree di crisi, quella maggiormente a rischio è proprio l’irachena, insieme a quella libica, ovviamente, che pure è meno strategicamente rilevante. L’Iraq è come un diaframma che separa la Siria dall’Iran, disegnato con sapienza dal righello di Churchill. Se cadesse in mano alla Jihad sarebbe l’inizio di una sommossa politica nel mondo arabo che renderebbe la primavera rivoluzionaria un pallido e vago ricordo. Per Obama si tratta di impedire l’affermazione qaedista in uno stato a ridosso dell’Iran e di Israele che già sente su di se la pressione, con buona pace per le speranze lanciate dal santo padre. Se l’Iran si è rivolto direttamente a richiedere la collaborazione del Grande Satana, significa che la classe dirigente iraniana mostra molto più realismo di quanto si potesse immaginare. Obama dovrebbe contattare subito gli alleati per rispondere positivamente. Ecco qualcuno che gli ha teso finalmente la mano dopo quella da lui offerta al Cairo all’inizio del suo primo mandato. Per quanto possa apparire incedibile, si tratta dell’Iran. E questo è successo, perché tutti gli equilibri mediorientali sono sul punto di precipitare e anche per responsabilità politica dell’attuale amministrazione statunitense, miope e sprovveduta, come poche altre si erano viste fino ad ora. Ma c’è un’occasione di riscatto che non si può lasciar passare e che potrebbe imprimere davvero una svolta senza precedenti nella regione, l’alleanza fra Iran ed Usa contro la jihad islamica, qualcosa che Bush poteva giusto sognare, mentre affondava nel pantano iracheno a Falluja e a Abu Grahib. Obama ha ancora invece una possibilità, purchè la colga al volo. Altrimenti di fronte al disastro che si compirà a danni del mondo occidentale, Bush passerà alla storia come quello che conquistò l’Iraq, Obama come quello che lo ha perso. Sempre che ci sarà ancora una storia dell’occidente da raccontare.

Roma, 16 giugno 2014